Apprendiamo con vero dolore della scomparsa di Alberto Lecaldano, un amico prima di tutto, progettista grafico romano al lavoro fino dal 1972, professionista del progetto grafico in molti campi dal progetto dell’identità di impresa fino alla comunicazione della cultura e dell’editoria. All’attività professionale ha affiancato quella di insegnamento all’Università della Sapienza di Roma e all’ISIA di Urbino. Socio onorario AIAP dal 2018, iscritto alla nostra associazione fino dal 1985, Alberto ha svolto un ruolo fondamentale nel dare supporto alla cultura del progetto grazie al lavoro svolto per l’affermazione della nostra rivista Progetto Grafico, fondata nel 2003 e di cui è stato direttore fino al 2012, una prima serie di pubblicazioni da cui traspare chiaramente la sua passione per la dimensione culturale della professione in tutte le articolazioni immaginabili.
Vogliamo ricordarlo oggi grazie ai ricordi che ci hanno regalato Mario Piazza e Gianfranco Torri.
Un ricordo di Alberto Lecaldano
Mario Piazza
Alberto ha creduto molto nell’Aiap, appartenere all’associazione e crescere con essa. Le 3086 pagine dei 20 numeri prodotti in 9 anni di «Progetto grafico» sono il suo indiscusso lascito. Ho trovato nel magma digitale una sua breve intervista rilasciata al portale studenti.it nel 2018 a proposito di cosa fosse la professione di grafico. Nelle sue brevi risposte mi pare di leggere un aspetto di Alberto che ho sempre visto nei suoi ruoli associativi (delegato regionale, consigliere nazionale, vicepresidente, socio onorario) e nella sua lunga direzione della rivista dell’Aiap. È un approccio letterario, di chi vuol conoscere e far conoscere, ma coltivando un’assidua attenzione al porgere nel modo migliore le cose. Un’attenzione a far capire, ma anche una sorta di esigenza cerimoniale, un dare valore alle cose, siano esse alte o di semplice necessità informativa.
Il suo essere grafico nasconde una formazione autodidattica e quelli che riconosceva come maestri non appartenevano al campo della grafica. “Ho avuto un grande maestro – scriveva – che mi ha insegnato a capire molto sull’importanza del progetto. Su quanto sia importante che dietro ci sia un’idea e di come sia importante che quell’idea sostenga e si articoli, nel progetto in ogni minimo dettaglio. Questo maestro era Luciano Damiani, il grande scenografo. Poco aveva a che fare con la grafica. Un altro contatto interessante, ancora sul progetto, è stato quello con Maurizio Sacripanti, grande architetto. Le cose più importanti le ho imparate da giovane quando con molta passione e discreto successo mi dedicavo alla regia e a quella che allora si chiamava “Scrittura scenica”, cioè il progetto per la messa in scena. Quindi teatro, architettura, scrittura, progetto. Roba seria, potremmo dire. Tutte cose veramente importanti rispetto alle quali, diciamoci la verità, la grafica è piccola cosa”.
Può sembrare un giudizio severo, ma le migliaia di pagine tessute per «Progetto grafico» testimoniano altro. Ad esempio che il progetto non lo si costruisce solo con i saperi propri di una disciplina, ma con altro e con mondi molto diversi, ad esempio con la cultura del cibo e la buona tavola (Alberto era un sofisticato gastronomo) e soprattutto con molti libri (un interesse che ritroviamo nelle pagine di «PG» e ha portato Alberto a progettare ogni aspetto grafico e redazionale delle edizioni Voland, ma anche a curare l’edizione italiana di un breve testo di Georges Perec, Tentativo di esaurimento di un luogo parigino e a scrivere un preciso manuale di stile, redazionale e tipografico per «PG»).
Ed era questo anche un modo per porre delle gerarchie al fare, con la consapevolezza che nella cosa più ovvia della progettazione grafica, la tipografia, ci fosse l’istanza di un senso etico della professione, del lavoro quotidiano. “Basta guardarsi intorno e vedere quanto siano mal fatti molti libri o come siano incomprensibili molti stampati e come, quasi sempre, vengano bistrattate le più elementari regole di composizione tipografica. (…) Consiglierei a un giovane e bravo grafico di cominciare da qui. In Italia ci sono circa 5000 editori e infinite sono le aziende che per informazione o promozione producono stampati o realizzano siti web dove, oramai è chiaro a tutti, prima della spettacolarizzazione conta la comprensione. Un mercato enorme”.
Questo è l’ordinario da svolgere con passione e poi ci può essere l’infra-ordinario, come quello del suo amato Perec. E mi piace quindi chiudere questo ricordo di Alberto Lecaldano con un omaggio da Duecentoquarantatre cartoline illustrate a colori autentici:
“Navighiamo nei dintorni dell’Ile-Rousse. Ce ne stiamo qui ad abbronzarci. Si mangia stupendamente. Ho una di quelle scottature! Saluti e baci.
Siamo all’Hôtel Xanadu. Lusso, calma e voluttà. Mangiare soave. Papà ingrassa. Mille baci.
Esploriamo la Gironde da cima a fondo. Che vita! Vini d’annate eccezionali e anche tutto il resto è all’altezza. Ho fatto tiro al piattello. Torniamo il 21.
Siamo nel Finistère. Sieste e gastronomia. Qualche visita di dirundino dirundelli. Vi ricordiamo.
Visitiamo la Florida. Tempo sublime. Hamburgher divini. Un po’ di nostalgia però. Baci”
Con Alberto alla scoperta dei grafici di Pecs
Ricordi di Gianfranco Torri
Molte le cose da ricordare di Alberto. Accenno qui a un paio di occasioni in cui ebbi modo di vivere da vicino la sua passione per la professione.
Il primo ricordo si riferisce al viaggio fatto insieme nell’Ungheria del dopo muro, con la delegazione romana di Aiap con l’obiettivo di realizzare una mostra di scambio con i grafici di Pecs e di Budapest. La grafica era chiave per innescare ragionamenti su un possibile futuro di scambi e confronti e di aperture nel nuovo assetto dell’Europa che si andava delineando.
Il secondo ricordo va al suo costante lavoro di tessitura che era alla base di tutto il ciclo editoriale di “Progetto grafico” che aveva diretto. Un lavoro svolto attraverso una presenza discreta che sollecitava gli interventi, delineava gli scenari di documentazione e di approfondimento. Una rivista, la ‘sua’, in cui ci si ritrovava e ci si confrontava, concepita come ricco e complesso centro di documentazione, una vera operazione di filologia della professione. Opera editoriale realizzata attraverso un lavoro che alla passione per la grafica e la cultura affiancava molto calore umano e amicizia. Che ci ha arricchito in molti.