Stamane è venuto a mancare Enrico Camplani, co-fondatore dello Studio Tapiro di Venezia. Silenziosamente come silenziosa e riservata è stata la sua vita.
Grafica di pubblica utilità fu chiamata quella stagione incredibile durante la quale la riflessione sulla centralità del progetto sembrava fosse ormai dato acquisito e pratica progettuale diffusa. Così vogliamo ricordare Enrico, inscindibile figura relata a tutti i protagonisti di quella stagione, in questi tempi bui nei quali il progetto non sembra più essere centrale e forse, neanche tanto utile. Vogliamo allora, anche se tristemente, cogliere l'occasione per pensare che la nostra generazione abbia una responsabilità enorme, riportare i temi del progetto al centro della riflessione, perché sul progetto si possono costruire le speranze del nostro abitare e perchè al centro di quell'abitare vi sono gli uomini. D.P.
Ricordando Enrico
Parlare di Enrico riesce facile e difficile al tempo stesso perché le cose si sovrappongono adesso, nella memoria, non si sa mai bene se sono brandelli di vita o avventure di grafica, aneddoti di normale quotidianità o resoconti di storia della comunicazione.
Con i Tapiro, Enrico e Gigi, soprattutto con Enrico, siamo stati amici per più di trent’anni e abbiamo condiviso, tra l’altro, una parte di quell’avventura, per noi giovanile e eccitante, tra illusioni e disillusioni, che andò sotto il nome di ‘grafica di pubblica utilità’. Ci incontrammo per un Carnevale di Venezia, era il 1983, e già allora i Tapiro, Gigi ed Enrico, bresciani ambedue di nascita, appena laureati in architettura, avevano un cospicuo portfolio di attività professionale.
Venezia è città dove si cammina e la gente si può fermare a leggere sui muri gli avvisi: non è quindi sorprendente che il manifesto abbia vissuto lì la sua, forse ultima, stagione di gloria e non è certo un caso che Gigi ed Enrico, di quella stagione di gloria, siano stati figure centrali. O meglio ‘figura centrale’ perché, anche con tanti anni di frequentazione, riesce difficile, nel loro lavoro, separare le mani e assegnare all’uno o all’altro la paternità del singolo progetto.
Ci fu il Carnevale, dicevamo, e poi la Biennale di Portoghesi, post modern se mai ci fu un post modern, con gli arabeschi raffinatissimi a far da cornice alla comunicazione. E poi? L’elenco è sterminato e abbraccia questi trent’anni veneziani come una coperta calda e rassicurante: andavamo in laguna e sapevamo che saremmo stati accompagnati da una di quelle immagini (i Tapiro hanno progettato e stampato più di mille manifesti), la aspettavamo nella prima cantonata, ci seguiva nel percorso, e guai se non ci fosse stata.
Ma in laguna non c’erano soltanto le immagini a farci da chaperon per le calli e i campielli. Gigi, da buon ‘alpinista’ e con le bimbe ancora piccole, andava a letto presto e lasciava a Enrico il compito di guidare l’ospite nel girone umido e notturno delle osterie. Tiravamo tardi tra un’ombra e l’altra, discutendo di grafica, speluzzicando del pesce fritto, lamentandoci per tutto e di tutto, stabilendo e rafforzando una complicità ‘professionale’ che sembra già mancarci adesso, dopo poche ore dalla notizia della sua scomparsa.
Di Enrico si può ricordare il caratteristico intercalare (quel “cazzo” ripetuto fino all’eccesso con cui condiva ogni sua frase e che, in anni recenti, aveva cercato di eliminare o almeno di attenuare), ma anche la grande amaca che attraversava, da parete a parete, il suo soggiorno e su cui capitava di passare la notte al ritorno accaldato da una di quelle osterie di cui dicevamo prima. Possiamo e vogliamo ricordare tutto, la grafica e la vita.
Ci mancherà Enrico: ci mancherà il grafico, ci mancherà l’amico.
Andrea Rauch
Oggi è morto Enrico.
Enrico Camplani. Una grande perdita per il mondo della comunicazione, per la formazione, per tutti noi.
Da sempre, con Gianluigi e il loro studio Tapiro, una presenza seria e responsabile nel nostro piccolo mondo.
Sempre sorridente e aperto ha affrontato le trasformazioni, i cambiamenti del nostro lavoro con rassicurante impegno e capacità.
Uno spirito libero, attento, preoccupato che la ricerca continua e l’innovazione non lasciasse mai spazio alla ripetitività e al già visto.
Ha dedicato anni alla formazione e all’educazione dei giovani.
Alla trasmissione del sapere. Con grande senso della responsabilità.
Sapeva dare.
Le tracce di questo rimarranno sempre con noi.
Un abbraccio, Enrico.
Roberto Pieracini
(14 Nov 2013 )
18 January 2021