Ho sulla mia scrivania, a sinistra, nella pila dei libri per i quali devo fare qualcosa, il libro di Franco, Il mezzo secolo di Franco Balan, peintre et graphiste, Electa 2011. Me lo ha mandato qualche tempo fa, ora sembra un secolo, accompagnato da una telefonata ansiosa per accertarsi che lo avessi ricevuto.
- Mi fai una cosa?
- Certo Franco. Ti scrivo un testo, così come mi viene, è un libro emozionante.
- Dai, dai, fai tu, una delle cose tue, scrivi qualcosa, scrivi, mi raccomando.
- Franco è un libro bellissimo, voglio gustarmelo, godermelo, c’è tutto il tuo lavoro, tanto non c’è fretta, non è per un’occasione particolare. Te lo mando appena lo scrivo.
Molti di noi si sono conosciuti nel 1982, all’epoca del convegno “L’altra grafica”, una delle prime occasioni di confronto sulla grafica di pubblica utilità. Nel 1991 poi facemmo una mostra sul nostro lavoro, invitati da Balan a la Salle, nel ciclo “Visual Design”. In altra occasione andammo con Bruno Munari a Cogne, a vedere la neve.
Ricordo anche come rimase male quando mi invitò ad entrare nell’AGI, ed io rifiutai, con delle motivazioni che lui non capì del tutto, ma ero già distante dalla parola “grafica” e tantomeno dall’idea di un club di autoreferenzialismi. Ma cercai di spiegarlo con rispetto, non era un atteggiamento snob il mio, era una posizione culturale, direi ideologica. Rimase male. Sono sicuro.
Franco a volte mi chiamava Pino, altre Mino (Gelsomino D’Ambrosio il mio collega per più di trent’anni) era fantastico come ci confondeva, anche per l’assonanza del nome da quattro sillabe con un suono simile. Ma era l’inconfondibile stile Balan.
Oggi vorrei poter condividere con il lettore l’emozione che si prova nel trascorrere le pagine di quest’opera, tutta la vita di Balan, a cominciare dalla sua firma. A volte la firma di un artista contiene molto della sua opera, è veloce, condensata, scritta senza staccare mai lo strumento dal foglio, è un’opera balaniana.
Nella sua attività di graphiste (sì, non possiamo usare altri termini per Balan) la velocità è la cifra principale. Velocità di pensiero, velocità di esecuzione, ogni opera, ogni piccolo croquis, fotomontaggio, collage o meglio ogni opera, è una tecnica mista, ma anche nel senso concettuale cioè quel mescolare rapidamente e fondere concetti e visualizzazioni. Forse - se proprio vogliamo trovare un riferimento storico - è il dadaismo, i collage di Kurt Schwitters, i calligrammi, i giochi verboiconoci di Picabia, l’humus storico artistico nel quale si ritrova qualche riferimento o qualche vaga ispirazione. Ma solo per poco perché la cifra peculiare di Balan risiede nel saper rimodulare e rimodellare il tessuto antropologico e iconografico della sua Valle D’Aosta. Dalla paccottiglia alla grande tradizione dei preziosi intagli lignei degli artigiani. Sono materiali che affondano le loro radici nella millenaria iconografia di una preziosa storia che il consumismo turistico non ha ancora deteriorato.
Balan è riuscito a guardare tutti (si è fatto fotografare con tutti) senza farsi condizionare da nessuno, si avverte la sua sapienza e la sua cultura ma ogni opera è una originale fulminea creazione, quasi che la velocità di esecuzione fosse la certificazione della sua firma autentica.
Bisogna averlo guardato mentre le eseguiva le sue opere, per le quali non nutriva alcun atteggiamento sacrale, si è sentito artista molto più tardi Balan, forse negli ultimi tre lustri ha preso più sul serio la sua opera, ma solo quando si trattava di opere di pittura, il graphisme per lui è sempre stata una professione senza aura, senza mitologia e senza autocelebrazione.
Invece Balan va celebrato come uno degli ultimi grandi autori del graphisme internazionale della mitica tradizione dei cartellonisti da Jules Chéret a Toulouse-Lautrec tra Ottocento e Novecento, come Filippo Romoli, Leopoldo Metlicovitz, Marcello Dudovich e moltissimi altri.
Ma credo proprio che Franco Balan sia unico, irripetibile.
Pino Grimaldi
(14 Apr 2013 )
18 January 2021